PERCHÈ LA SCIENZA È ATTENDIBILE?

SILVANO FUSO


In un precedente articolo1 abbiamo stigmatizzato il diffondersi di un inquietante atteggiamento antiscientifico nella società contemporanea. L'articolo si concludeva auspicando una maggior informazione sulla natura della scienza stessa, che, a nostro avviso, rappresenta un indispensabile strumento per una migliore conoscenza del mondo e di noi stessi.

Nel presente articolo vogliamo cercare di delineare quei caratteri che giustificano il nostro precedente giudizio. In altre parole cercheremo di rispondere a domande del tipo: "Perché la scienza è attendibile?", "Perché dovremmo fidarci delle sue affermazioni?", "Cosa distingue la vera scienza dalla pseudoscienza?".

Com'è noto, a simili domande cerca di dare una risposta quella disciplina specialistica chiamata "filosofia della scienza" o "epistemologia".

Non è nostra intenzione, in questa sede, esaminare le numerose problematiche che caratterizzano questa disciplina e le risposte ad esse fornite dai diversi autori2. Neppure vogliamo discutere dei rapporti, non sempre idilliaci, tra scienziati attivi ed epistemologi di professione3. Intendiamo solamente sottolineare alcuni aspetti di base su cui c'è sostanziale accordo sia tra gli scienziati sia tra gli epistemologi.

Una delle più antiche definizioni di scienza si ritrova in Platone. Egli distingue tra scienza (epistème) e opinione (doxa). La prima è conoscenza delle idee universali, è necessariamente vera e come tale immutabile (epistème deriva da epìstamai, che significa "star fermo"). La seconda invece ha per oggetto realtà particolari, mutevoli e soggettive, e come tale può essere vera o falsa. Anche quando è vera, tuttavia, l'opinione continua ad essere diversa dalla scienza.

Platone sviluppa poi queste sue idee arrivando alla conclusione che soltanto la filosofia, o meglio la dialettica, rappresenta l'unica vera scienza, ovvero una forma di conoscenza autentica, non fondata su principi solamente ipotetici.

La conclusione cui giunge Platone non appare più molto attuale, tuttavia la sua distinzione tra epistème e doxa può essere utile per comprendere il vero carattere distintivo della scienza.

Diciamo subito che ciò che differenzia la scienza dalle altre attività culturali umane è proprio il superamento dell'opinione. In altre parole la scienza è alla ricerca di affermazioni che non siano credenze individuali, ma possano essere condivise da chiunque, dotato di ragione ed intellettualmente onesto. Questo requisito che deve essere soddisfatto dalle affermazioni scientifiche può essere definito "intersoggettività"4.

Il primo criterio di intersoggettività che l'umanità ha scoperto è stato il ragionamento logico matematico. Gli antichi Greci diedero straordinari contributi alla matematica inventando il concetto di dimostrazione. Se si assumono per veri certi presupposti e si attua un procedimento deduttivo corretto, nessuno può non essere d'accordo con le conclusioni raggiunte. E' questa l'essenza del cosiddetto "metodo assiomatico", mirabilmente codificato in campo logico da Aristotele e rigorosamente applicato in campo matematico da Euclide nei suoi celebri Elementi.

Il secondo criterio di intersoggettività fu trovato dall'umanità molto più tardi. Si tratta dell'osservazione sperimentale dei fenomeni. Com'è noto esso venne introdotto nel seicento da Galileo che inventò, in tal modo, una nuova forma di conoscenza non filosofica della realtà. Di fronte ad una evidenza empiricamente rilevabile nessuno può non essere d'accordo con i fatti osservati. Tale constatazione è così palese da apparire quasi banale. Tuttavia è sufficiente ripercorrere la biografia di Galileo per rendersi conto delle difficoltà che questo secondo criterio di intersoggettività ha dovuto affrontare prima di riuscire ad imporsi.

L'accordo intersoggettivo non garantisce in modo assoluto la verità di una affermazione (può benissimo accadere che tutti quanti ci stiamo sbagliando). Tuttavia esso è un buon indizio che l'affermazione in questione abbia un elevata probabilità di essere vera.

Questa mancanza di assolutezza non soddisfa gli oppositori della scienza che vedono in essa soltanto un sapere relativo e provvisorio. Tuttavia di meglio l'umanità non sa fare: l'oggettività, ammesso che tale concetto abbia senso, rimane inaccessibile.

Molte altre forme culturali che vengono contrapposte alla scienza non solo sono esse stesse ben lontane da qualsiasi carattere assoluto, ma in più non possiedono neppure l'accordo intersoggettivo, tipico della scienza. In tal modo esse finiscono inevitabilmente nel campo dell'opinione.

E' ovvio che esistono aspetti della vita umana in cui l'opinione è inevitabile e addirittura auspicabile. Tuttavia, nel campo della conoscenza, quando è possibile, non si vede perché non dovremmo cercare di superarla. In tutto ciò che è empiricamente rilevabile e/o suscettibile di formalizzazione logico-matematica è possibile aspirare ad un tipo di conoscenza in cui valga un accordo intersoggettivo. Tutto quello che soddisfa questi due requisiti costituisce pertanto dominio della scienza.

L’accordo intersoggettivo, poggiato su ragionamento logico-matematico e osservazione sperimentale, non deve essere confuso con un semplice criterio di maggioranza, secondo il quale è vero ciò che e condiviso dai più.

Esso, infatti, non ha bisogno di nessun principio d'autorità per essere imposto e scaturisce spontaneamente in chiunque, dotato di ragione, voglia onestamente ricercare la verità. Né l'autorità personale o numerica dei suoi sostenitori, né quella derivante dalla tradizione possono, infatti, decidere a favore della verità o falsità di una affermazione. Nella scienza accade spesso che affermazioni ritenute vere da molto tempo e sostenute da illustri scienziati cadano impietosamente di fronte a nuove evidenze sperimentali o nuove considerazioni logico-matematiche.

Contrariamente a quanto sosteneva Platone (e a dispetto del significato etimologico di epistème) le affermazioni della scienza non sono affatto eterne e immutabili. Esse sono ritenute vere fino a quando non vengono dimostrate false. Anzi, secondo una concezione epistemologica che gode di ampi consensi, una affermazione è scientifica solamente se, in linea di principio, è possibile falsificarla. Se una affermazione non può essere falsificata significa che essa sfugge ad ogni controllo empirico, pertanto nulla dice circa la realtà e come tale non rientra nel dominio della scienza (com'è noto tale concezione è alla base dell'epistemologia falsificazionista di Karl R. Popper5).

La provvisorietà delle affermazioni scientifiche, se da un lato può deludere chi aspirerebbe ad una conoscenza immutabile ed eterna, rappresenta uno dei loro punti di forza. La scienza è, infatti, in continua evoluzione e la sua costante disponibilità a rivedere se stessa rappresenta una garanzia di onestà, apertura mentale e senso critico.

L'intersoggettività della scienza può contribuire a fornire una risposta affermativa alla domanda circa la sua attendibilità. La sua continua perfettibilità al contrario agli occhi degli oppositori può sembrare una debolezza. Esiste tuttavia un altro motivo inconfutabile a favore di una risposta affermativa.

Può apparire banale, ma occorre osservare che: la scienza funziona.

Le conoscenze che la scienza produce consentono all'uomo di dominare la realtà non solo dal punto di vista teorico ma anche da quello pragmatico6. In altre parole la scienza non ha soltanto un potere esplicativo ma possiede anche capacità predittive che consentono all'uomo di manipolare la realtà prevedendone le conseguenze. Le modificazioni che la scienza ha consentito di apportare al mondo possono suscitare entusiasmi o timori: ma nessuno può negare che la scienza possieda capacità che altre forme culturali neppure si sognano.

Qualcuno ha assimilato l'evoluzione culturale dell'uomo alla sua evoluzione biologica7: acquisire conoscenza è una forma di adattamento all'ambiente ai fini di migliorare le proprie capacità di sopravvivenza. Ebbene, è fuori da ogni dubbio che la scienza ha fornito all'uomo strumenti che hanno sicuramente favorito le sue capacità di sopravvivenza. Che poi questi stessi strumenti possano essere utilizzati per scopi contrari alla sopravvivenza è tutt'altro discorso, indipendente da una discussione sulla natura della conoscenza scientifica.

Anche filosofi della scienza che non riconoscono a quest'ultima nessuna posizione privilegiata nei confronti di altre forme culturali (esistono "nemici della scienza" anche tra gli epistemologi) devono ammettere la sua efficacia pragmatica. Il più noto tra questi Paul K. Feyerabend, acceso dissacratore del sapere scientifico, difendendo il pluralismo culturale, ha affermato: "Ci sono altri modi di vivere in questo mondo. La gente è intervenuta sul mondo in modi diversi: alcune azioni hanno trovato riscontro, altre non sono mai decollate"8. La scienza, evidentemente "ha trovato riscontro", altri modi di indagare la realtà no, indipendentemente da quello che può sostenere Feyerabend in altri suoi scritti.

L'intersoggettività e l'efficacia pragmatica caratterizzano dunque la vera scienza, distinguendola nettamente dalle pseudoscienze. Purtroppo, come tutte le attività umane, anche la scienza non è immune da errori. La storia della scienza lo dimostra9. Tuttavia la sua stessa apertura, il suo senso autocritico e la continua disponibilità a modificarsi consente alla scienza di autocorreggersi continuamente. Questo non accade nelle pseudoscienze che rimangono invece uguali a se stesse prive di alcuna evoluzione.

Abbiamo prima accennato all'esistenza di settori dell'attività umane in cui l'intersoggettività non è raggiungibile. In alcuni di questi settori la soggettività e la libera fantasia del singolo sono addirittura auspicabili: si pensi all'arte, ai sentimenti, ecc. In altri settori, pur non essendo possibile un accordo intersoggettivo unanime, lo si deve necessariamente adottare in modo convenzionale per semplici questioni di convivenza in una collettività: si pensi alle norme etiche e giuridiche.

E' evidente che in entrambi i casi la scienza nulla può dire, essendo settori assolutamente estranei al proprio dominio. Pretendere di ottenere dalla scienza una risposta a qualsiasi domanda è altrettanto sbagliato che disconoscere la sua capacità conoscitiva sui domini che le sono propri. In passato ci sono state posizioni epistemologiche che hanno assolutizzato la scienza considerandola l'unica forma di sapere (scientismo): si è trattato di posizioni estremiste che non poco hanno contribuito a diffondere, per reazione, atteggiamenti antiscientifici e irrazionalisti.

Per concludere, da quanto fin qui esposto, ci sembra che esistano ragioni sufficienti per ritenere valido il sapere prodotto dalla scienza. La storia del pensiero scientifico mostra un incessante evoluzione che, passo dopo passo e inevitabili discontinuità, ha indubbiamente migliorato la nostra conoscenza della realtà. Probabilmente si tratta di un cammino che non raggiungerà mai completamente la propria meta. Ma, come sa ogni viaggiatore appassionato, il vero piacere si trova nel viaggiare, non nell'arrivare a destinazione.

RIFERIMENTI E NOTE

1) S. Fuso, "L'atteggiamento antiscientifico", Scienza & Paranormale n.17-VI, 1998;

2) Una panoramica completa delle varie problematiche e posizioni epistemologiche si può trovare in: D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, Il Saggiatore, Milano 1989;

3) Una discussione su tali rapporti si trova in: M. Marsonet, Scienza e analisi linguistica. Il distacco tra epistemologi e scienziati, Feltrinelli, Milano 1994;

4) Si veda, ad esempio: G. Toraldo di Francia, "Errori e miti nel concetto comune di scienza", in AA. VV., Pensiero scientifico e pensiero filosofico, Muzzio, Padova 1993;

5) Popper sviluppa queste considerazioni nella sua opera più famosa: Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970;

6) Su questa considerazione si fonda un'importante corrente epistemologica del nostro secolo chiamata, appunto, pragmatismo;

7) Si veda, ad esempio: K. Lorenz, L'altra faccia dello specchio: per una storia naturale della conoscenza, Adelphi, Milano 1974;

8) P.K. Feyerabend, Dialoghi sulla conoscenza, Laterza, Roma-Bari 1991, (p. 104);

9) Si veda, ad esempio: A. Kohn, Falsi profeti: errori e inganni nella scienza, Zanichelli, Bologna 1991 e F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Mondadori, Milano 1993.